Che gli scacchisti siano tendenzialmente psicolabili é noto da tempo (Fisher docet): ma pensavo che la cosa riguardasse solo i giocatori ad alto livello, per i quali lo sforzo agonistico e il carico emozionale puó chiaramente generare situazioni di stress psicologico devastanti.
A giudicare da certi utenti di GS mi pare invece di capire che il problema sia diffuso a tutti i livelli: duplicazione (per non dire moltiplicazione esponenziale) delle personalitá, buffoneria glottocircense, alienazione robotica, ecc. il tutto naturalmente condito da una buona dose di autoesaltazione e/o mania persecutoria.
Il problema di fondo credo sia il fatto che gli scacchi, per la loro complessitá combinatoria e simbolica, diventano facilmente un universo parallelo in cui cercare scenari consolatori rispetto alle delusioni dell´universo reale.
Il fatto che in questo universo parallelo si vinca o si perda (nonostante la patta sia sempre in agguato…) favorisce l´autoidentificazione con il divino: chi vince si propone infatti come l´unico dio, il dio ´vero´, in grado di forgiare l´universo secondo la sua volontá.
Questo universo, poi, configurandosi anche tipicamente come corte medievale sollecita evidentemente la formazione di consorterie ´feudali´, con rapporti ´personali´ a incatenare i vari gradi di vassallaggio, dal GM al NC: cosí le lotte sulla scacchiera divengono facilmente crociate e guerre di religione fra consorterie.
Un ultimo aspetto interessante é quello del ´ motorismo´ che tende a saldarsi a quello del ´robotismo´ (nonché ´marionettismo´ vario): gli scacchi da sempre si sono coniugati col mito dell´automa e ne hanno tratto aspetti inquietanti.
L´automa, che in ultima analisi é la maschera (ovvero la morte, visto che l´uso originario delle maschere é quello funerario…) rappresenta la sfida alla caducitá della vita umana: non a caso é caratterizzato dal movimento ´incomprensibile´ e tendenzialmente ´magico´ (le cose inanimate non dovrebbero muoversi…). Inoltre si pone inquietantemente come alter ego dell´umano, al cui genere in ultima analisi vorrebbe sostiuirsi.
Considerando anche che scacco matto significa letteralmente il re é morto, ho la vaga impressione che in questo ambito simbolico gli scacchi rappresentino la paura della morte, ovvero il disperato tentativo di sopravvivere ad essa: la morte degli altri (la morte del re avversario, lo scacco matto) é infatti il tipico momento di autocertificazione del proprio esistere ancora.
Forse a questo punto varrebbe la pena citare, come fa Roberto nella sua firma, un sano perdente come Spassky: il gioco degli scacchi é (solo) un gioco...
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Utente: Nicola Riva
10/02/2011, 09:26:19